Sartre



SARTRE 


L’esistenzialismo come umanismo


Uno dei pensatori più influenti del Novecento

Jean-Paul Sartre (1905–1980) è stato filosofo, romanziere, drammaturgo e intellettuale militante. La sua opera ha toccato ogni campo della riflessione umana: dalla metafisica alla politica, dalla psicologia alla letteratura. È conosciuto soprattutto per aver teorizzato e diffuso l’esistenzialismo, una corrente che pone al centro della filosofia l’individuo, la sua libertà assoluta e la responsabilità che ne deriva.


Per Sartre, non esiste una “natura umana” predefinita: l’uomo non è ciò che è, ma diventa ciò che sceglie di essere. L’esistenza precede l’essenza: l’uomo esiste prima di essere definito da qualcosa. Nessun Dio, nessun destino, nessuna morale precostituita possono decidere per lui. Questo vuol dire che l’uomo è radicalmente libero, ma anche radicalmente responsabile.


In L’esistenzialismo è un umanismo (1946), Sartre difende l’esistenzialismo da due critiche opposte: quella di chi lo accusa di essere troppo pessimista (perché nega Dio e i valori assoluti) e quella di chi lo accusa di giustificare ogni comportamento (dato che afferma la libertà assoluta). In realtà, secondo Sartre, l’esistenzialismo è un umanismo perché restituisce all’uomo tutta la dignità e la responsabilità della propria esistenza.



L’analisi della coscienza

Uno dei capisaldi della filosofia sartriana è l’analisi fenomenologica della coscienza, elaborata soprattutto in L’essere e il nulla (1943). Sartre distingue due modi di essere:

l’essere-in-sé (l’être-en-soi): è l’essere delle cose, compatto, pieno, determinato, privo di coscienza. È ciò che esiste come oggetto nel mondo.

l’essere-per-sé (l’être-pour-soi): è la coscienza umana, aperta, incompleta, capace di negare, scegliere, progettare.


La coscienza è nulla: essa non è una cosa, ma un atto, un’apertura al mondo. Proprio perché non è determinata da nulla, è libera per natura. Ma questa libertà è anche un peso: la coscienza è condannata a scegliere, a creare continuamente se stessa. Non esiste un “io” stabile: siamo un progetto in continuo divenire, che può riuscire o fallire.



L’angoscia della scelta

La libertà, per Sartre, non è una condizione rassicurante, ma angosciante. Ogni volta che scegliamo, scegliamo non solo per noi stessi, ma per l’intera umanità: in ogni atto affermiamo un valore universale. Non abbiamo scuse, non possiamo dire “era destino” o “è colpa di qualcun altro”. Siamo condannati alla libertà, e questo genera angoscia, perché ogni decisione comporta una responsabilità immensa.


L’angoscia non è però un sentimento negativo da evitare, ma una presa di coscienza della propria condizione umana. È il segno che stiamo vivendo autenticamente, senza affidarci a scuse o autorità esterne.


Al contrario, quando ci nascondiamo dietro ruoli, regole o giustificazioni, viviamo in malafede: fingiamo di non essere liberi, di essere “cose” con un’identità fissa. Per Sartre, il cameriere che si comporta “troppo” da cameriere, come se fosse solo quel ruolo, è un esempio di malafede.



La nausea di fronte all’esistenza

Nel romanzo La nausea (1938), Sartre descrive la sensazione esistenziale più profonda del suo pensiero: il ribaltamento dell’abitudine, la scoperta che le cose non hanno senso in sé. Il protagonista, Roquentin, avverte la “nausea” quando si rende conto che l’essere del mondo è gratuito, contingente, privo di fondamento.


La nausea non è solo un disagio esistenziale, ma una rivelazione filosofica: mostra che nulla ha un significato “necessario”, e che ogni senso è costruito dall’uomo. Anche qui, ritorna il messaggio fondamentale di Sartre: nulla è dato, tutto è scelto.



Il conflitto con gli altri e la dialettica storica

Un altro elemento centrale del pensiero sartriano è il rapporto con l’altro. Nell’essere guardato, l’uomo si sente oggetto, perde il controllo della propria immagine. Questo genera un conflitto permanente, una tensione tra libertà personale e sguardo altrui. È celebre la frase: “L’inferno sono gli altri”, tratta da A porte chiuse (1944).


Ma gli altri non sono solo una minaccia: sono anche la condizione del nostro essere nel mondo. L’identità si costruisce nel conflitto, nella dialettica tra soggettività e società. Qui Sartre si avvicina al marxismo, riconoscendo che l’uomo non esiste isolato, ma inserito in una storia collettiva, segnata da oppressioni, lotte, trasformazioni.



La sintesi tra esistenzialismo e marxismo

Dopo la Seconda guerra mondiale, Sartre cerca di integrare l’esistenzialismo con il marxismo, nel tentativo di dare al suo pensiero una dimensione storica e politica più concreta. Lo fa soprattutto in Critica della ragione dialettica (1960), dove analizza le dinamiche della società capitalista, della lotta di classe e della prassi rivoluzionaria.


Il marxismo, secondo Sartre, ha il merito di comprendere le strutture materiali che condizionano la libertà umana, ma rischia di ridurre l’individuo a semplice ingranaggio storico. L’esistenzialismo, invece, rischia l’opposto: esaltare la libertà senza tenere conto della realtà sociale. La vera filosofia deve unire le due prospettive: riconoscere che l’uomo è libero, ma dentro limiti concreti, che può cambiare solo agendo nel mondo.


Sartre sostiene l’impegno politico degli intellettuali e partecipa attivamente a molte battaglie del suo tempo (contro il colonialismo, la guerra in Vietnam, per i diritti civili). Per lui, pensare significa agire: la filosofia non è contemplazione, ma prassi trasformativa. 

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